traffico

Qualche giorno fa ho assistito, dalla mia auto parcheggiata in strada, a un fatto che mi ha portato a riflettere.

Il fatto è il seguente.

Quotidianamente capita che nella strada nei pressi della scuola del mio paesello la parte percorribile si restringa notevolmente a causa delle auto parcheggiate, negli orari di ingresso e uscita degli scolari, su entrambi i lati.
In alcuni punti il restringimento è tale che è impossibile a due auto passare contemporaneamente nelle due direzioni opposte.
L’unica possibilità di procedere è, perciò, a senso unico alternato.

Qualche pomeriggio fa, quel tratto di strada si è letteralmente intasato.
Due file di auto che procedevano nelle due opposte direzioni si sono completamente bloccate l’una nell’altra e nessuna sembrava potersi più muovere né avanti né indietro.

Tutti fermi per una decina di minuti.
Chi a strombazzare, chi a gesticolare rabbiosamente contro la macchina che aveva di fronte, chi (simpaticissimo!) ad approfittarne per distribuire volantini, chi a guardarsi attorno attonito, stupito del fatto che una cosa del genere stesse capitando in un piccolo paese di poche migliaia di abitanti e non a Roma o a New York!!

Ad un certo punto compare un signore che, improvvisandosi vigile urbano, si mette in strada e, avvicinandosi alle auto, dà indicazioni per le manovre.
Un’auto riesce finalmente a muoversi e passare.
Dopo qualche minuto pian piano le auto incolonnate alle estremità della strada lentamente si muovono. Poi tutte le altre.

L’ingorgo è risolto.

Ma quanto questo ingorgo assomiglia alle conflittualità nelle relazioni umane?
Immensamente. Perché i comportamenti che attuiamo sono gli stessi.

Come si è creato l’ingorgo?
La strada è stretta e due auto non ci passano: la superficie libera della strada è insufficiente per il volume delle due auto.
Insomma è questione di geometria.

Ma nessuna delle due auto vuole cedere il passo. Ognuna procede per averla vinta anche a rischio di rimanere incastrati.

Come dire: piuttosto che lasciar vincere te, perdo anch’io.

Ma in tutto ciò di chi è la colpa? Mia? Tua?
Come si può risalire ad un responsabile?
Impossibile. Perché quel gran caos non è il risultato di una colpa individuale ma è l’esito della somma di un insieme intrecciato di azioni.

Insomma  la colpa è nostra. Condivisa. Più o meno equidistribuita. 

E’ esattamente questo che accade nei conflitti interpersonali: ognuno dà la colpa all’altro. Anche delle proprie azioni. Con la giustificazione: “Io agisco così perché lui/lei agisce in quella maniera”.

telecomando

Ad esempio.
Lei: “Sono sgarbata con lui perché mi fa arrabbiare: preferisce guardare la partita o uscire con gli amici che passare una serata con me”.
Lui: “E’ talmente sgarbata con me che mi passa la voglia di uscire da soli”.

In realtà quello che accade è l’esito di un complesso intreccio di azioni e reazioni in cui ciascuno dà il proprio contributo a peggiorare l’ingorgo piuttosto che a scioglierlo.
In cui ciascuno giustifica il proprio negativo comportamento come una logica, necessaria e ragionevole conseguenza dei cattivi comportamenti altrui.

Ovverosia ognuno si preoccupa dei torti degli altri e nessuno pensa o forse riesce a vedere ciò che di positivo lui potrebbe fare per cambiare quella situazione.

Esattamente come nell’ingorgo stradale in cui nessuno riusciva a vedere le mosse che personalmente poteva fare per districare se stesso e gli altri.

Tuttavia, nell’ingorgo, chi si trovava nel mezzo non poteva far altro che aspettare le mosse di chi si trovava alle estremità. Non aveva possibilità di movimento.

Similmente, anche nelle relazioni ci sono dei personaggi coinvolti che non possono che subire le conseguenze delle azioni altrui. Non hanno possibilità di agire per cambiare la situazione problematica ma non possono fare a meno di subirla.
Per esempio questo capita ai bambini presi dentro a conflitti famigliari o coniugali dei genitori.

In conclusione, necessario sarebbe, allora, sospendere il giudizio sui comportamenti altrui e iniziare a riflettere su quanto ciascuno personalmente possa fare per iniziare a smuovere l’intrico.
E stare poi a vedere quali effetti questi cambiamenti provocano.

In fondo proprio questo è ciò che ha abilmente fatto il signore, vigile improvvisato, concentrandosi su ogni singola automobile per rendere visibile all’autista le mosse che era in suo potere fare per districare l’intrico.

In fondo, esattamente questo è il ruolo dello psicologo all’interno di una relazione conflittuale: aiutare chi vi è dentro a sospendere le reciproche recriminazioni e accuse per concentrarsi sulla messa a fuoco di quale possa essere il proprio possibile contributo positivo alla risoluzione dell’ingorgo/conflitto in cui si è arenati.

 

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